martedì 18 ottobre 2016

IL DIFFICILE MESTIERE DELL’INSEGNANTE. Teorie e prassi dell’insegnamento.

Quanto le teorie sull’ apprendimento e le neuroscienze ci aiutano nel nostro lavoro? E soprattutto, quanto ci lasciamo aiutare, ispirare, guidare da loro?
Ho sperimentato personalmente come le quotidiane prassi didattiche possano diventare routine e come si continuino a praticare senza la consapevolezza dei meccanismi che attivano.
Ogni tanto mi piace tornare su questi argomenti, non per condannare le suddette prassi didattiche  ma per restituire loro un senso, una legittimità. 
E anche per utilizzarle più consapevolmente, evidentemente.
Nei miei primi anni di insegnamento ho conosciuto una fantastica dirigente che ci sollecitava sempre ad inserire nelle  progettazioni i nostri riferimenti teorici pedagogici, psicologici, didattici, docimologici. “Chiedetevi ed esplicitate sempre perché scegliete quel contenuto, quel percorso, quella strategia”
 Ci metteva in guardia dalle trappole dell’abitudine: le strade percorse e ripercorse possono essere considerate sicure, ma se non ci guardiamo intorno potremmo non accorgerci che ce ne sono altre più recenti e più valide.

Dunque nella giornata di oggi mi accingo a dare una “spolverata” a ciò che sappiamo sull’apprendimento e a considerarne le implicazioni.
Sulle teorie dell’apprendimento vi consiglio la lettura della dispensa  edita da ENDOFAP, semplice e chiara.
L’apporto delle neuroscienze è enorme e straordinario, ma proprio per questo va selezionato. Io mi sono concentrata su tre aspetti:
a)      Il connessionismo neuronale: le esperienze di apprendimento sono tradotte in segnali che modificano le connessioni tra i neuroni
b)      Il ruolo svolto dalle emozioni: le emozioni influiscono sull’efficacia dei processi cognitivi
c)       Il ruolo dei neuroni specchio: l’apprendimento avviene per imitazione ed ha base motoria

Proviamo a pensare alle implicazioni che questo ha sulla didattica: è evidente che non c’è nulla di meno efficace della vecchia , lunga, noiosa lezione frontale. Stare due ore a spiegare concetti affatica l’insegnante e non fa apprendere nulla ai ragazzi.

L’attività in classe dovrebbe essere “esperienza di apprendimento” che si svolge in un “ambiente empatico”.

Come fare? Come rendere compatibili le attività, i contenuti, i tempi?

Sicuramente ognuno di noi può mettere in atto delle strategie. Io ho provato ad attingere  idee dalla flipped class e dal cooperative learning.(vedi la mia recensione del libro di Ellerani)
Attraverso un dropbox condivido con i miei alunni le lezioni (che registro a casa attraverso video o ppt). Gli alunni a casa hanno il compito di ascoltare la lezione e di venire a scuola preparati sull’argomento intorno al quale dovranno lavorare. In classe , assegno un compito che devono eseguire in coppie di aiuto o in gruppo e che serve ad elaborare o applicare  le conoscenze acquisite . Può essere l’elaborazione di una mappa concettuale, di un cartellone, di un ppt , di una ricerca, di un progetto.  A casa poi i ragazzi dovranno fissare i contenuti e curare l’esposizione orale di quanto appreso.
Aspetti negativi: in classe non c’è mai silenzio – i tempi richiesti sono un po’  più lunghi
Aspetti positivi: gli alunni si attivano nella ricerca di soluzioni – io posso verificare e correggere il metodo di lavoro – si crea un clima positivo e collaborativo in classe –

A breve sarò in grado di inserire in una pagina del blog le lezioni e i risultati, ma mi piacerebbe avere un feed back. Quali sono le vostre strategie?




domenica 28 agosto 2016

Un interessante libro per imparare ad insegnare: "metodi e tecniche attive per l'insegnamento" di Piergiuseppe Ellerani

L'ho letto durante l'estate e ne sono rimasta entusiasta. Sì, perché in questo libro ho trovato la risposta a tanti dubbi e ho ritrovato, trattate con dignità scientifica, tante mie convinzioni.
 Insomma, mi ha dato la spinta per continuare a credere che la scuola che sogno si possa  costruire! Con un po' più di fatica, forse. Con più lavoro a casa, sicuramente. Ma con quali risultati e con quali soddisfazioni!!

Non so se capiti anche a voi, ma ogniqualvolta si discuta, nei luoghi deputati intendo ( consigli di classe, dipartimenti, collegi ...) di rinnovare la didattica, di rinnovarla veramente intendo, uscendo dalle formule preconfezionate di didattica trasmissiva , il coro pronuncia sempre le stesse frasi, tratte dal solito copione: "ma non si può fare", "è utopistico", "non c'è abbastanza tempo", "non abbiamo gli strumenti", "queste cose le scrivono le persone che in classe non ci stanno", "ne risentono i contenuti" .E' così frustrante!

Sembra ( lo leggevo in un articolo qualche tempo fa) che la scuola italiana e quella statunitense siano quelle più restie al rinnovamento. Sì, è vero, abbiamo le LIM nelle classi adesso. Abbiamo anche le classi 2.0. Ma come usiamo questi strumenti?

Durante i corsi mi capita di rimanere affascinata dalle molteplici funzionalità delle nuove tecnologie (l'ultima novità di gran moda è la apple tv), ma mi capita anche di fare una considerazione: "Alla fine, si tratta sempre di didattica trasmissiva; alla fine io posso mostrare le meraviglie del mondo alla mia classe, ma la lezione è sempre quella: io spiego e loro ascoltano, io parlo e loro prendono appunti, e come quando andavo a scuola io il più bravo è chi ripete meglio quanto spiegato dall'insegnante".Come sempre: cambiamo il contenitore, ma il contenuto è sempre lo stesso.
Come qualcuno ha già detto "se un'astronave aliena sorvolasse l'Italia dopo duecento anni, la troverebbe quasi completamente cambiata: in tutto, tranne che nella scuola."
Bé, ovviamente sto generalizzando, e sicuramente ci sono esperienze di qualità e di valore nelle scuole italiane, ma, mi dispiace dirlo, non sono la regola.

Ed io? Non mi pongo certo al di sopra della massa. Mille dubbi, tanti timidi tentativi, poca convinzione, scarsi risultati, enorme frustrazione.

Per questo il libro di Piergiuseppe Ellerani mi ha esaltato.
E' un librettino di 150 pagine che riesce a smontare punto per punto i pregiudizi sulla didattica attiva della quale tanto si parla in Italia ma che così poco si frequenta. Ma la sua forza soprattutto è quella di non essere solo teoria: indicazioni pratiche e tempistica delle attività ti aiutano a non procedere a "tastoni", ma ad operare con rigore scientifico.

Così mi sono convinta: quest'anno imbraccerò di nuovo le armi della pedagogia e della didattica per fare la mia piccola rivoluzione.
Vi invito a leggere il libro e a seguirmi.
Grazie,prof. Pierluigi Ellerani.

mercoledì 6 luglio 2016

Pensiero astratto e sviluppo mentale del bambino. Ricordiamoci di Piaget.

28 giugno, ore 16,30. Temperatura pari o superiore a 35 gradi. Ultimo Collegio Docenti dell’anno scolastico.
 Il Dirigente apre la riunione  presentandoci  un articolo di Roberto Casati, il filosofo, pubblicato su “Il Sole24 ore” del 2 giugno : “Equazioni e diseguaglianze”. A commento del suddetto articolo il D.S. sollecita i docenti, soprattutto  quelli della scuola dell’Infanzia e della scuola Primaria, a sviluppare il pensiero astratto, anzi ,  ad insegnare la matematica astratta (???).Io e la collega di matematica ci guardiamo incredule: ma come? E la didattica laboratoriale? E Piaget?
Sono sempre stata convinta che uno dei problemi principali della scuola italiana sia proprio la carenza di operazioni concrete previste nei suoi “programmi” o nelle sue prassi educative: questi bambini tutto cervello e niente corpo parlano troppo di massimi sistemi e poco imparano a fare una cosa che considero importantissima: muovere intelligentemente le mani ( cito letteralmente un mio carissimo amico e ottimo maestro: Luigi Guercia). Quindi, convinta che la radice del ritardato sviluppo del pensiero astratto nei miei alunni ( di scuola media) albergasse proprio nella mancanza della pratica nelle operazioni concrete, guardo spaesata la mia collega. Ma come? Ancora: e la didattica laboratoriale? E Piaget?
Il caldo fa brutti scherzi e lì, sul momento, non ho la forza di controbattere, ma a casa leggo, e studio.
 Leggo prima di tutto l’articolo menzionato, e poi il rapporto OCSE  - Pisa da cui lo stesso trae spunto. ( posto ambedue per un confronto con voi). Mi sembra che ambedue siano ben lontani dalle conclusioni affrettate del mio D.S. e penso, rassicurata, che nessuno sta gettando dalla finestra il vecchio, buon Piaget.
Penso, anche, che possa essere utile rispolverare un po’ di psicologia dell’età evolutiva, giusto per ricordare quali caratteristiche abbiano le menti che ci troviamo davanti.
Non desidero mettermi in cattedra a fare una lezione , mi limiterò a fornirvi qualche indicazione bibliografica  e ad attendere i vostri commenti e le vostre osservazioni.

Concludo con un fremito di soddisfazione: questo input mi ha consentito di rompere il ghiaccio e di inviare il mio primo post. Spero che ne seguano altri e che voi partecipiate numerosi.