Quanto le teorie sull’ apprendimento e le neuroscienze ci
aiutano nel nostro lavoro? E soprattutto, quanto ci lasciamo aiutare, ispirare,
guidare da loro?
Ho sperimentato personalmente come le quotidiane prassi
didattiche possano diventare routine e come si continuino a praticare senza la
consapevolezza dei meccanismi che attivano.
Ogni tanto mi piace tornare su questi argomenti, non per
condannare le suddette prassi didattiche ma per restituire loro un senso, una legittimità.
E anche per utilizzarle più consapevolmente,
evidentemente.
Nei miei
primi anni di insegnamento ho conosciuto una fantastica dirigente che ci
sollecitava sempre ad inserire nelle progettazioni i nostri riferimenti teorici
pedagogici, psicologici, didattici, docimologici. “Chiedetevi ed esplicitate
sempre perché scegliete quel contenuto, quel percorso, quella strategia”
Ci metteva in guardia dalle trappole dell’abitudine:
le strade percorse e ripercorse possono essere considerate sicure, ma se non ci
guardiamo intorno potremmo non accorgerci che ce ne sono altre più recenti e
più valide.
Dunque nella
giornata di oggi mi accingo a dare una “spolverata” a ciò che sappiamo sull’apprendimento
e a considerarne le implicazioni.
Sulle teorie
dell’apprendimento vi consiglio la lettura della dispensa edita da ENDOFAP, semplice e chiara.
L’apporto
delle neuroscienze è enorme e straordinario, ma proprio per questo va selezionato.
Io mi sono concentrata su tre aspetti:
a)
Il connessionismo neuronale: le esperienze di
apprendimento sono tradotte in segnali che modificano le connessioni tra i
neuroni
b)
Il ruolo svolto dalle emozioni: le emozioni
influiscono sull’efficacia dei processi cognitivi
c)
Il ruolo dei neuroni specchio: l’apprendimento
avviene per imitazione ed ha base motoria
Proviamo a
pensare alle implicazioni che questo ha sulla didattica: è evidente che non c’è
nulla di meno efficace della vecchia , lunga, noiosa lezione frontale. Stare
due ore a spiegare concetti affatica l’insegnante e non fa apprendere nulla ai
ragazzi.
L’attività
in classe dovrebbe essere “esperienza di apprendimento” che si svolge in un “ambiente
empatico”.
Come fare? Come
rendere compatibili le attività, i contenuti, i tempi?
Sicuramente
ognuno di noi può mettere in atto delle strategie. Io ho provato ad
attingere idee dalla flipped class e dal
cooperative learning.(vedi la mia recensione del libro di Ellerani)
Attraverso
un dropbox condivido con i miei alunni le lezioni (che registro a casa
attraverso video o ppt). Gli alunni a casa hanno il compito di ascoltare la
lezione e di venire a scuola preparati sull’argomento intorno al quale dovranno
lavorare. In classe , assegno un compito che devono eseguire in coppie di aiuto
o in gruppo e che serve ad elaborare o applicare le conoscenze acquisite . Può essere l’elaborazione
di una mappa concettuale, di un cartellone, di un ppt , di una ricerca, di un
progetto. A casa poi i ragazzi dovranno
fissare i contenuti e curare l’esposizione orale di quanto appreso.
Aspetti
negativi: in classe non c’è mai silenzio – i tempi richiesti sono un po’ più lunghi
Aspetti
positivi: gli alunni si attivano nella ricerca di soluzioni – io posso
verificare e correggere il metodo di lavoro – si crea un clima positivo e
collaborativo in classe –
A breve sarò
in grado di inserire in una pagina del blog le lezioni e i risultati, ma mi
piacerebbe avere un feed back. Quali sono le vostre strategie?
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